Pensando alla “fotografia” potremmo dire che la storia è l’immaginabile per quanto sta nei paraggi; nei paraggi dell’obiettivo. La fotografia non è soltanto una restituzione fotonica, in essa è depositata la visione che per sua natura è analogica, ossia il derivato narrativo reale o immaginale, “il tracciato dei movimenti” che rende reale la figurazione, la cibernetica potenziale che evolve in narrazione.
La tematica su cui è edificato l’intero progetto riguarda il concetto di figurabilità e di narrazione. Quel processo che parte dall’esperienza visiva, passa per lo “scatto” e poi diviene espressione narrante: sensazione, gesto e immaginario convivono nella produ- zione di un’ immagine che poi identifichiamo come una fotografia. Quindi, una sola fotografia potrebbe essere definita narrativa? Che cosa si intende per narrativo e non narrativo? Le esperienze sono tutte narrativizzabili? Che cosa distingue un testo figurale da un testo scritto? Quali sono le interferenze?
Rispetto al filtro delle lingue naturali e delle griglie culturali il “linguaggio” delle immagini ancora oggi risulta più immediato e per certi versi ancora “universale”.
L’immagine è un luogo. In esso risiedono la trascrizione e il differi- mento dell’appropriazione, il conferimento di senso all’oggetto che a sua volta conferisce senso al gesto originale.
La narrazione può essere considerata come una conversione del gesto di appropriazione in un gesto di significazione.
La narrazione implica una pluralità di segni che convivono in una ricerca estetica, in essa si sviluppano le capacità cognitive ed immaginifiche.
La narrazione può anche assumere la forma di “storia”. La “storia” è un’astrazione, di per sé non esiste; esiste solo quando un discorso la può raccontare.
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